LA FISICA DEI COLORI


Vi siete mai chiesti come funzioni la nostra percezione del colore?
Ad esempio perché vediamo il cielo blu? Perché non verde o fucsia?

Tutto comincia con la luce del Sole (quando il sole tramonta il cielo ci appare nero, dunque il Sole c’entra!): la sua luce è composta da lunghezze d’onda che vanno dai 380 nm (cioè milionesimi di millimetro) ai 780 nm, in pratica le onde elettromagnetiche relative ai colori compresi tra il violetto (con lunghezze d’onda molto corte) e il rosso (lunghezze d’onda molto lunghe) passando per tutti i colori dell’arcobaleno.
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Naturalmente il Sole emette anche raggi
Ultravioletti (quelli a sinistra del viola) e Infrarossi (quelli a destra del rosso), ma non sono visibili al nostro occhio. Ci accorgiamo della loro presenza perché gli ultravioletti sono quelli che ci abbronzano (o ci fanno venire un eritema…) mentre gli infrarossi riscaldano.

Osservate il grafico: lo spettro solare al di fuori dell’atmosfera ha un picco nella zona dell’azzurro, picco che si riduce drasticamente nel momento in cui la luce solare arriva al livello del mare. Ebbene è successo che le molecole dei gas presenti in atmosfera, troppo piccole per essere intercettate dai raggi ad alta lunghezza d’onda (rosso e arancione) che le “scavalcano” e continuano tranquilli il percorso verso la Terra, tendono a interferire con i raggi a lunghezza d’onda più corta (azzurro e blu) riflettendoli in varie direzioni.
I raggi riflessi, quindi, illuminano di blu le particelle presenti in atmosfera.
Ed ecco che
il cielo ci appare blu!

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Il mare è blu per un processo simile ma opposto (solo in parte, infatti, riflette il colore del cielo).
Le lunghezze d’onda più ampie della luce solare, quelle del rosso e dell’arancione, attraversando la massa d’acqua tendono ad essere
assorbite per prime mentre quelle relative all’azzurro vanno molto più in profondità e tendono a conferire al mare il suo caratteristico colore.

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Chiaramente sia il cielo che il mare hanno tonalità che mutano continuamente per cui sostenere che siano blu è decisamente generico.
La dimostrazione ce la fornisce il fotografo inglese 
Garry Fabian Miller che ha dedicato un anno intero, dal 1976 al 1977, per catturare dal tetto della sua casa l’orizzonte marino in tutte le sue variazioni.

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Che poi, se vogliamo essere pignoli, è improprio pure dire che una cosa è di un certo colore …
Il colore infatti è solo una “
sensazione” che si crea nel nostro cervello nel momento in cui i fotorecettori della retina sono stimolati dalle onde elettromagnetiche della luce riemessa da un oggetto.
Se noi, infatti, vediamo gli oggetti, è perché questi ricevono un fascio di luce e ne riflettono una parte.
L’oggetto “bianco” è tale perché riflette tutte le lunghezze d’onda, quello “rosso” perché riflette solo la parte rossa dello spettro mentre l’oggetto “nero” assorbe tutta la luce incidente (e per questo motivo si riscalda…).

blu-luce-riflessa

Ma non tutte le “luci bianche” hanno lo stesso spettro. 
Questo significa che
la luce riflessa non dipende solo dalla composizione molecolare della superficie, che determina quali onde riflettere, ma soprattutto dallo spettro della luce che illumina l’oggetto.
Sembra una cosa complessa ma il realtà ne fate spesso esperienza quando andate in un negozio e portate fuori il golfino per capire “davvero” di che colore sia.

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Naturalmente state dando per scontato che il “vero colore” sia quello che vedete alla luce naturale. Ma la luce naturale cambia continuamente composizione spettrale. Non è standard.
Lo spettro del diagramma all’inizio del post è solo teorico.
Per questo esistono metodi scientifici per definire i colori in base a precise coordinate e sulla base di una luce standardizzata.
È molto interessante osservare come questo concetto di fisica sia stato intuito da
Monet ed applicato nella celebre serie della cattedrale di Rouen.
Le trentuno tele sono la dimostrazione esemplare di come il colore sia dato dalla luce.
Qual è la tinta della pietra della cattedrale?
È rossa al tramonto, grigia in un giorno nebbioso, dorata sotto il sole splendente!

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Eppure, nonostante questa prova visiva della variabilità del colore degli oggetti, siamo comunque portati ad attribuire un colore unico ad ogni materiale a prescindere dalle condizioni di illuminazione.
Questo fenomeno, chiamato
costanza percettiva, è dovuto all’intervento del nostro cervello e della nostre esperienze pregresse nell’atto della visione.
Nel momento in cui noi “sappiamo” che un oggetto – ad esempio le fragole – è di un determinato colore glielo continuiamo ad attribuire anche quando quel colore è del tutto assente. Nell’immagine qui sotto non c’è neanche un pixel che, preso singolarmente, potremmo vagamente indicare come rosso.
Eppure io stessa non posso fare a meno di dire che queste fragole sono comunque rosse.

colore-fragole

La nostra visione presenta dunque due aspetti contrastanti: da un lato è un fenomeno fisiologico di ricezione di uno stimolo visivo (e la rappresentazione di tale immagine retinica è proprio l’obiettivo degli impressionisti), dall’altro è un fenomeno psicologico di rielaborazione dell’immagine percepita (in pratica ri-creiamo una nuova realtà sia dal punto di vista cromatico che da quello compositivo, come ci insegna la teoria della Gestalt).
Tuttavia, nonostante questa
apparente arbitrarietà della nostra percezione dei colori (da un lato dipendono dalla luce, dall’altro il nostro cervello se ne frega e ce li fa vedere come vuole lui…) l’uomo ha elaborato dei criteri oggettivi per distinguere i colori. Si tratta dei sistemi di classificazione cromatica (a ruota o a pagine con campioni).

colore-ruota

I primi studi sul colore risalgono alla fine del XVII secolo con la
classificazione dei colori di Boogert. Non ci è pervenuto nulla di più antico e completo.
Si tratta di una catalogazione di quasi 800 pagine con tanto di descrizione analitica di ogni tinta rappresentata.

colore-boogert

Occorre però attendere il XX secolo perché la colorimetria producesse dei sistemi cromatici moderni. Oggi ne esistono tanti ma non ce n’è uno migliore dell’altro: ognuno è stato elaborato per un campo di applicazione ben preciso e, tramiti appositi sistemi di conversione, è possibile passare da un sistema all’altro abbastanza agevolmente.
Nel 1915 Albert Henry Munsell realizza per i suoi studenti un Atlante cromatico sviluppato in forma solida nel quale la chiarezza dei colori (valore) è data dall’asse centrale secondo vari livelli di grigio, la distanza dall’asse centrale indica la saturazione (croma) mentre ogni “pagina” definisce una tinta.
Nell’Atlante ufficiale i campioni di colore possono venire rimossi per poter poterli confrontare con le superfici delle quali si vuole identificare il colore.

Del 1925 è lo standard dei colori RAL. Questa classificazione cromatica, utilizzata soprattutto nel settore delle vernici industriali e dei rivestimenti, contiene circa 2000 colori in versioni matte e lucide. Esistono anche tinte speciali metallizzate, ferromicacee, drate etc.

colore-ral

Nel 1931 è stato elaborato lo Spazio Cromatico CIE per rappresentare i colori percepibili dall’occhio dell’osservatore medio su un grafico cartesiano x,y (una sezione piana di una distribuzione solida dei colori).
I numeri lungo il perimetro della zona colorata corrispondono alle 
lunghezze d’onda della luce, espresse in nanometri. Questo sistema è in uso nel campo illuminotecnico.

colore-cie

In Svezia, Norvegia e Spagna si utilizza il sistema NCS (Natural Color System), una classificazione creata negli anni ’50 dall’Istituto Scandinavo del Colore che somiglia al Munsell per la sua struttura solida e per la distribuzione dei colori nelle tre direzioni (alto-basso, interno-esterno e semipiano).
Si basa su
sei colori principali considerati come “primari” e attraverso questi ne definisce circa 10 milioni.

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Un sistema più recente e di larga diffusione è il Pantone.
Standard in campo grafico è stato elaborato da un’azienda statunitense negli stessi anni del sistema NCS.
Oggi, più che una semplice mazzetta di campioni è uno stile di vita, una gamma cromatica con qualsiasi tipo di finitura che coinvolge designer, artisti, grafici e illustratori di tutto il mondo. Sfogliare una mazzetta Pantone è piuttosto impressionante: ci si stupisce che possano esistere così tante variazioni di colore… e non abbiamo nemmeno nomi sufficienti per definirli tutti!
Per fortuna ogni colore ha un codice univoco che potrà definire una certa tonalità sia qui che in Giappone.

colore-pantone

Una palette culinaria ispirata ai Pantone è quella di Griottes, in cui frutta e stoviglie si intonano delicatamente.

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Meno goloso ma più interessante dal punto di vista antropologico è il progetto Humanae dell’artista brasiliana Angélica Dass: un inventario di tutti i colori della pelle presenti sul pianeta (naturalmente è un work in progress). Ogni campione è un ritratto stagliato sul fondo colorato con il Pantone di quella carnagione.
L’obiettivo?
Farci scoprire che il mondo non si divide in bianchi, gialli e neri ma che le sfumature sono continue ed impercettibili e le differenze diventano una splendida e calda tavolozza umana!

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Ma per i maniaci dei Pantone esiste qualsiasi tipo di gadget. Guardate un po’ questi… imperdibili, vero?

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Credo che il pezzo forte sia la mazzetta con tutte le nuance dei completini della regina Elisabetta…
E pensare che i colori, in realtà, non esistono!

da un articolo di Emanuela Pulvirenti del 28 giugno 2014